Viaggio alla Mecca
“Sono circa dieci anni che ho questo progetto in testa: quando ero piccolo mio padre ha fatto questo viaggio in macchina, e questo giro un po’ folle mi ha fatto fantasticare. Ho detto a me stesso che un giorno avrei raccontato questa avventura bizzarra”, così il regista Ismaël Ferroukhi, autore di origine marocchina, che vive nel Sud della Francia, attivo tra cinema e televisione da oltre un decennio. Un film intenso e genuino, sua opera prima, dopo una serie di cortometraggi per cui ha ricevuto premi e la possibilità di partecipare a progetti importanti.
Il credo musulmano impone ai fedeli di recarsi almeno una volta nella vita in pellegrinaggio alla Mecca, ed è appunto questa sorta di pellegrinaggio che il regista Ismaël Ferroukhi mette in scena nel suo “Viaggio alla Mecca”,girato nel 2004. Il vecchio Moustapha, che vive in Francia con la famiglia, sente che deve andare in Arabia Saudita e impone al figlio più giovane di accompagnarlo. Réda, il figlio nato in Francia e per di più non musulmano, restio al comportamento troppo irascibile del padre ed anche perché non vuole lasciare la fidanzata, si trova suo malgrado ad affrontare in automobile i cinquemila chilometri che li separano dalla meta.
Un road movie, che partendo da Marsiglia fino alla frontiera italiana, passando per la Slovacchia e la Repubblica Ceca, Istambul e Damasco, racconta di un padre e un figlio rinchiusi nel loro abitacolo a quattro ruote, che vivono il loro personale viaggio tra silenzi ed attriti, attraversando paesi con le loro miserie e disperazioni. Una rotta di due mondi che non si intendono, solo per cocciutaggine ed intransigenza. Il regista vuole rappresentare uno scontro generazionale, fra un padre ortodosso e restrittivo ed un figlio conforme alla società in cui vive. La distanza che devono percorrere è sinonimo della distanza che c’è fra loro (il cellulare buttato nel cestino), ma man mano ci si allontana dall’Occidente, Réda è sempre più impacciato (ad Istambul si fa derubare) mentre il padre, nelle difficili situazioni in cui si vengono a trovare, più si avvicina alle regioni mediorientali, più si trova a suo agio ed in grado di “leggere” la realtà, risolvendo i problemi e diventando “interprete” al figlio.
E lungo il viaggio, Réda impara a conoscere e condividere la prospettiva paterna, mentre il genitore finisce per apprendere qualcosa dal figlio. Simbolica la sequenza in cui il ragazzo scrive sulla sabbia il nome della propria fidanzata, la stessa sabbia su cui poco distante sta pregando il padre. “Viaggio alla Mecca” è un percorso fisico e interiore, che mette a confronto due realtà e due persone diverse, incapaci di parlarsi, chiuse all’altro, dove mutismo e ostinazione sono le sole modalità di approccio. Ma le persone incontrate, i paesi attraversati, le culture anche solo sfiorate, sono i grimaldelli che scardineranno i muri dell’incomprensione. Le disavventure non saranno solo un ostacolo, ma costringeranno padre e figlio al confronto ed infine alla comprensione.