L’episodio numero 6 realizzato da AITR tratta del tema delle città e comunità sostenibili, obiettivo che, come testimoniano i nostri ospiti, è raggiungibile anche attraverso il cosiddetto sistema di franchising sociale, ovvero un equilibrio fra economia gestionale locale e coordinamento d’immagine locale a livello nazionale.
Grazie alla testimonianza di 4 soci con esperienza sui rapporti sulle comunità sul territorio, moderati dal presidente di AITR Maurizio Davolio, si evince l’importanza, in questo processo, del rapporto con le comunità locali e del loro coinvolgimento, protagonismo, nonché della revisione dei rapporti pubblico privato e creazione di reti.
La prima ospite Simona Zedda è la portavoce dell’Associazione Yoda, una rete di relazioni mirate a costruire un mondo dove le conoscenze e le risorse siano condivise e specializzata nell’offerta di esperienze solidali.
Zedda racconta del suo ruolo come promotrice del Festival IT.A.CÀ, il festival del turismo responsabile più grande al mondo alla sua quindicesima edizione, nato nel 2009 a Bologna da un’idea di Pierluigi Musarò e Sonia Bregoli come applicazione di principi di turismo responsabile.
Il ruolo di IT.A.CÀ è concretamente visibile e fondamentale per il coinvolgimento comunità locale attraverso call frequenti per coinvolgere le realtà nascenti e ancora da scoprire all’interno dell’offerta turistica.
Ad oggi il festival prevede 24 tappe, tutte elencate nel calendario condiviso, a cui sono state aggiunte due nuove tappe quest’anno: la tappa dell’alto Lazio e la tappa sarda di Sant’Elena.
IT.A.CÀ non ha un’identità giuridica, ma è un ente informale che condivide lo stesso sistema valoriale e sfrutta la sua capacità aggregativa per contaminare il settore turistico territoriale e fare rete. Il punto di forza del festival è sicuramente il lavoro in rete, in cui la responsabilità individuale viene vissuta come responsabilità di comunità.
Rimanendo all’interno del circuito IT.A.CÀ , la seconda ospite Alessandra Cotugno approfondisce il progetto delle casematte, realtà recentemente germogliata nella città di Taranto.
L’iniziativa è nata su iniziativa dell’Associazione Palomba insieme a Creativi Viaggi, con la collaborazione di Isac Pro per la vita indipendente e Centro Mediterraneo, già attivi nella creazione di percorsi inclusivi su Taranto, ampliando l’aspetto partecipativo e l’erogazione dei servizi degli itinerari turistici.
Ma cosa s’intende per ‘’casa matta’’? Con intento altamente evocativo, l’associazione ha appositamente scelto questo termine, di origine militare, che indica i luoghi dove veniva conservata la polvere da sparo, ad indicare dei luoghi altamente propositivi ed ‘’esplosivi’’.
Le casematte sono infatti delle realtà controcorrente che stanno permettendo alla città di Taranto di rinascere, grazie all’intervento di alcune persone rientrate sul territorio ed esempi concreti di economia alternativa. In questi percorsi l’inclusività è un aspetto fondamentale, ragion per cui ragazzi affetti da disabilità vengono coinvolti come ciceroni e guide turistiche, rendendoli protagonisti della rinascita di Taranto.
Altri due elementi essenziali del progetto delle case matte sono la resilienza di Taranto e la motivazione dei giovani che si mettono in gioco, raccontando il loro territorio con occhi nuovi e meravigliati e restituendo questa bellezza ai turisti e ai visitatori.
Una prospettiva alternativa è quella Antonio Cardelli, esperto in pianificazione territoriale e sviluppo locale, alla direzione tecnica e strategica di Borghi Autentici d’Italia, associazione di comune, con circa 180 territori, tra comuni ed enti aggregati, presente da nord a sud in circa 17 regioni d’Italia.
Il focus dell’associazione è sulle comunità locali, cercando di migliorare i servizi e incentivare lo stare in rete. Con circa vent’anni di vita, rete borghi autentici considera come interlocutore principale la comunità, i cittadini, gli operatori e i portatori di interesse e valori nell’ottica dello sviluppo di progetti e per rendere i borghi delle mete di viaggio.
Il punto di partenza è sicuramente lavorare sull’ospitalità di chi li abita, riconoscendo nel fattore comunitario il valore del territorio. Per quanto riguarda la rete degli enti locali, invece, bisogna sicuramente intraprendere un’azione di natura culturale al fine di sensibilizzare le amministrazioni, ma è necessario che la comunità partecipi alla costruzione delle politiche.
L’ultima narrazione è quella di Fabrizio Giacalone, che ci racconta la storia di Palma Nana, cooperativa radicata nella città di Palermo, ma con due case: una in città, con tutte le sue contraddizioni, un’altra nel bosco delle Madonie.
La presenza della cooperativa a Serra Guarneri, seguendo il motto di voler essere Madoniti per scelta, ovvero degli abitanti delle Madonie, invita a vivere questo territorio, composto da tante microcomunità distanti l’una dall’altra anche fisicamente, nel pieno delle sue caratteristiche specifiche.
L’obiettivo di Palma Nana era quello di dare una certa continuità al luogo che era Serra Guarneri, originariamente stazione di transumanza, dove pastori e abitanti si scambiavano doni, prassi, mantenendo quella modalità di scambio del passato con le difficoltà e le sfide e i vantaggi di quel modo di vivere. Questo percorso non studiato ma avvenuto per caso, si è realizzato in varie modalità e passaggi, come ad esempio promuovendo il lavoro dei giovani e coinvolgendo le comunità dei comuni vicini delle consulte giovanili.
Nella città di Palermo, la cooperativa è riuscita a coltivare un rapporto con la popolazione locale attraverso un percorso, anche in questo caso, non ricercato ma risultato dell’incrocio di connessioni e di storie. Proprio da queste storie di realtà con voci di per sé forti si è partiti per raccontare una nuova Palermo fatta di rivoluzioni silenziose, rifuggendo dai racconti mainstream caratterizzati da folklore e cronaca.
In questo processo rigenerativo, in cui Palma Nana, così come tante altre realtà, cerca di dare supporto e agire come una sorta di ‘’megafono’’, i quartieri periferici si riappropriano della bellezza e i quartieri conosciuti per il degrado si trasformano attraverso progetti di rigenerazione culturale.
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