Machan. La vera storia di una falsa squadra
Umberto Pasolini, esordiente regista, nipote del grande Luchino Visconti, porta sul grande schermo una commedia basata su una storia vera: nel 2004 un gruppo di cingalesi ha messo in pratica un piano alquanto ingegnoso, fingersi la nazionale di pallamano del proprio paese per raggiungere l’Europa, con il pretesto di un torneo internazionale. Il film “Machan. La vera storia di una falsa squadra” (Germania, Italia, Sri Lanka – 2008) è ambientato a Colombo.
Due amici cercano di tirarsi su dopo che la loro ennesima richiesta di visto per la Germania è stata respinta. Manoj, barista, sogna di vivere e lavorare nel meraviglioso occidente, mentre Stanley, venditore ambulante di frutta, non riesce più a sbarcare il lunario, oberato com’è dai debiti di due zie pazze. Quando sembrano ormai rassegnarsi, i due scoprono un bando di gara per partecipare ad un torneo di palla a mano in Baviera: la risposta alle loro preghiere, un biglietto di sola andata verso l’Occidente e la ricchezza che potrebbe risolvere tutti i loro problemi. Cosa importa se non hanno la più pallida idea di cosa sia la pallamano?
Il film è una miscela di allegria e dramma, uno spaccato su una realtà spesso dimenticata: la povertà e la miseria della gente dello Sri Lanka, che si arrabatta come può, il tutto raccontato con dignità e simpatia. Predomina il tema della clandestinità, quel fenomeno visto da molti come una minaccia e spesso affrontato in modo sbagliato, ma per i protagonisti partire è una necessità, perché se potessero rimarrebbero con la loro famiglia, piuttosto che raggiungere un Occidente dove non sono nessuno, non hanno un’identità, persone anonime che cercano un lavoro e talvolta un colpo di fortuna.
Ognuno di loro ha una sua storia che il regista ha cercato di scoprire andando sul campo e intervistando le persone che li conoscevano e i famigliari, dato che nessuno sa dove siano finiti. Privo di facile pietismo, lieve, scherzoso, il film sa rappresentare piccoli episodi e piccole realtà che, tutte insieme, costituiscono un vero microcosmo socio-culturale fatto di ragazzini in lotta contro la fame, di anziane donne che cercano la fortuna nel gioco d’azzardo, di un uomo che perde il suo lavoro dopo tanti anni per colpa di un apparecchio asciugamani…
Un lavoro che cresce di tono e di spessore emotivo, fino a diventare nell’ultima parte, trascinante, anche per la notevole capacità del regista di dirigere attori non protagonisti che sanno evidenziare la sincerità degli intenti con cui il film è stato ideato e realizzato. Questa avventura, spassosa e irriverente, è raccontata da Umberto Pasolini con una malinconica simpatia di fondo, che rende “Machan”, parola cingalese che vuol dire “cognato”, termine usato per apostrofare un caro amico, un sguardo leggero sulle differenze culturali, la libertà, l’amicizia.