L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

1970: è l’anno dei Mondiali di calcio in Messico e della mitica finale in cui il Brasile sconfisse l’Italia. Anche per il piccolo Mauro, figlio di padre ebreo e madre cattolica, i mondiali sono la cosa più importante, ma la sua vita è sconquassata quando i genitori decidono di portarlo dal nonno perché devono andare in “vacanza”. Sono gli anni della dittatura e probabilmente i genitori sono ricercati per il loro attivismo politico, così partono da Belo Horizonte verso il quartiere Bom Retiro a San Paolo. Lo lasciano in fretta e furia davanti alla casa del nonno Mòtel, senza sapere che questi è appena morto.  Il quartiere è abitato da ebrei polacchi e tocca  all’anziano Shlomo, occuparsi del bambino, quando lo trova in attesa davanti alla porta. Il rapporto non è facile, ma tutta la comunità viene coinvolta, almeno nel preparare i pasti.

La piccola Hana gli fa conoscere i suoi amichetti con cui giocare a pallone, nel frattempo i Mondiali sono cominciati ma i genitori non  ritornano. Un mondo nuovo si schiude per Mauro, fatto di ebrei, italiani, greci, unificati dal tifo per il Brasile. Nel frattempo Mauro e Shlomo iniziano a conoscersi ed ad amarsi, e sarà proprio l’anziano ebreo che lo riaccompagnerà nella camera dove, tornata finalmente ma sola, ritrova la mamma.

Il film è girato dal punto di vista del piccolo protagonista che si incontra con un’autentica babele in cui si parla portoghese, yiddish, tedesco ed italiano, una storia semplice ma piena di allusioni, che senza tratti tragici sa rievocare l’atmosfera della dittatura. E’ una storia d’assenze e d’esilio in una nazione che festeggia, si distrae, dimentica per un momento di stare vivendo dal ’64 una dittatura militare che mostra il pugno di ferro contro chi dissente. Ma il quartiere del Bom Retiro è una zona di meticciato etnico, colorata e solidale, quasi un rifugio sfiorato dalla tragicità di quegli anni.  Simbolo di un luogo dove si può vivere in pace, se solo ci si accetta e si comprendono le proprie diversità.

Girato con un tocco delicato, il regista sa unire con maestria due totem della cultura contemporanea: il calcio e la politica, che sempre sanno accendere gli animi. Anche se l’aspetto politico non è mai preso di punta, ma sempre presente come sottofondo in tutta la vicenda. Anche la scelta del piccolo Mauro, scovato dopo un’infinità di ricerche, è sicuramente riuscita, il ragazzino è di una freschezza e spontaneità disarmante. La finezza del tocco e il senso del dettaglio sanno dare spessore a questa “vacanza”, il tutto condito dalla musica che spazia da brani tradizionali di Caetano Veloso e Roberto Carlos.

Il film suggerisce la transitorietà della vita e l’importanza di conoscere gli “altri”, infatti Mauro dopo un’iniziale volontà di fare da solo e appartarsi, comprende che allacciare rapporti con gli altri individui è il segreto per affrontare le situazioni e sconfiggere la disperazione, perché le difficoltà si tramutano così in esperienze positive e fonti di conoscenza. Il film rende bene l’aspetto ciclico della nostra esistenza, fatta di stagioni e di scoperte, dove la “vacanza”, se non è un gioco solitario, ci integra agli altri e ci può dare amorosi abbracci.

anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

Facebooktwitterlinkedinmail