In viaggio con un asino nelle Cèvennes
“In fondo siamo tutti viaggiatori in quella che John Bunyan chiama la landa desolata del mondo e per di più viaggiamo tutti con un asino”: è la frase che si legge nella lettera scritta all’amico e posta all’inizio del diario di viaggio che Robert Louis Stevenson intraprese, dal 22 settembre al 3 ottobre 1878, nelle Cévennes. Un libro con il quale l’autore vuole provare a se stesso di essere uno scrittore professionista, ma dare anche un addio alla sua gioventù (era nato nel 1850 ad Edimburgo).
In Stevenson la passione per la letteratura si era sviluppata fin da ragazzo e il suo racconto “In viaggio con un asino nelle Cévennes” (Greco&Greco Editore,1992) non è sicuramente quello più famoso, ma ci segnala la sua inclinazione per una vita irregolare e dissipata che gli indebolì la salute e lo costrinse a trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Upolu, isola delle Samoa, riverito dagli indigeni che lo chiamavano Tusitala, “narratore di storie”.
Nel 1878 parte dal villaggio di Le Monastier, e nel diario descrive il bagaglio, il sacco a pelo, così prezioso nelle notti sotto le stelle, e l’acquisto di Modestine, la piccola asina grigia che l’avrebbe accompagnato e spesso contrastato durante il suo cammino. “Per quanto mi riguarda, viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare”.
Stevenson annota con ironia il suo rapporto con l’animale, un comico rapporto di amore/odio, che culminerà nei due capitoli finali con la vendita della malridotta compagna di viaggio. Modestine è l’impagabile spalla che offre l’occasione per episodi divertenti e commenti spesso misogini, anche se le bastonate che l’esasperato conducente d’asino gli infligge lo faranno soffrire di sensi di colpa. Descrive sempre con passione e coinvolgimento i paesaggi che osserva, meravigliato di fronte alla bellezza della natura, nella cui vita si sente totalmente immerso e partecipe. E’ una dichiarazione d’amore per la vita nomade ed avventurosa, oltre che testimonianza del mito romantico della solitudine a contatto con la natura. I personaggi che incontra, monaci, contadini, locandieri, sono ritratti accuratamente, così come i luoghi, un tempo teatro di sanguinose lotte fra Cattolici e Protestanti (di cui si era documentato). Nel diario di viaggio traspare spesso, attraverso i suoi commenti sul credo religioso delle persone che incontra, la sua ricerca di comprensione umana. L’unica presenza che ostacola il desiderio di solitudine per cui aveva intrapreso il cammino, è Modestine.
Così Stevenson racconta il momento della separazione:
“Il mattino del 4 ottobre, dopo essere stata sottoposta ad un esame, Modestine fu dichiarata inabile a viaggiare…Solo quando mi trovavo già seduto difianco al postiglione mi resi conto della perdita. Avevo perso Modestine. Fino a quel momento avevo pensato di odiarla, ma ora che non c’era più…Per dodici giorni eravamo stati compagni, l’una accanto all’altro; avevamo viaggiato per centoventi miglia, attraversato diversi ragguardevoli crinali e trotterellato lungo molte stradine rocciose o paludose. Dopo il primo giorno, sebbene qualche volta fossi stato duro e scostante, non avevo mai perso la pazienza. Da parte sua, poverina, era arrivata a considerarmi come un dio. Adorava mangiare dalla mia mano. Era paziente, elegante nella forma e inimitabilmente piccola; aveva il colore di un topo ideale. Le sue colpe erano quelle della sua razza e del suo sesso, le sue virtù erano solo le sue…”