Il turista nudo
Nel libro “Il turista nudo” (Editrice Adelphi, anno 2006) l’autore Lawrence Osborne (collaboratore del “New York Times” e del “New Yorker”), consapevole che la ricerca di un altrove incontaminato è una delle fissazioni della mente occidentale e che ormai, sempre più spesso, si infrange contro un tour operator ormai pronto ad aspettarlo, cerca comunque una meta per il suo viaggio. Già a partire dal Grand Tour una delle maggiori spinte al viaggio era stata la ricerca di mondi perduti, il rimpianto per una vita andata smarrita, insieme ai rapporti umani che l’industrializzazione e l’urbanesimo avevano reso meno genuini. Le esigenze poco pretenziose sarebbero state curate dall’industria turistica, che si avviava a diventare la più alta al mondo come fatturato, trasformando anche i “selvaggi” in attori per i viaggiatori dei tour all-inclusive.
Ma l’imprevedibile autore ammette che “Ogni volta che la Lonely Planet dice di evitare un certo posto, perché è losco, mi ci fiondo… Già, fai le valige, solo che non sai dove andare. E’ come se ti impennacchiassi per un ballo di gala , pur sapendo che è appena stato cancellato… Ho cercato in lungo e in largo, ma uscire dal mondo sembrava impossibile. Per un po’ ho addirittura fantasticato di prendere una stanza in un albergo alle Hawaii e piantarmi un paio di settimane davanti alla tv… Ma, individuata sulle carte e con una divertente ricerca sui siti web, una meta possibile, decide per l’Isola di Papua Nuova Guinea. Ma ci vuole arrivare attraverso varie lente tappe“. Comincia così un viaggio sgangherato e divertente, con un’esplorazione ironica di altrove molto contaminati: la Dubai che gli sceicchi stanno trasformando in un immenso parco a tema, le Andamane distrutte dallo tsunami e che stanno per essere ricostruite come le nuove Maldive, la Thailandia vista attraverso l’enorme città della salute e del fitness, dove trascorre un anno pieno di imprevisti per avvicinarsi lentamente a quell’isola immensa di cieli verdi, fiumi fucsia, vulcani attivi e la sua foresta inospitale, per avvicinare gli uomini nudi che ci vivono, accompagnato solo dalle sue paranoie e dagli scritti della Mead e altri.
“La paranoia delle zanzare era tale che ormai per alzare la cerniera, tuffarsi dentro a capofitto e richiudere ci mettavamo circa un secondo… Alle otto, spenta la candela, rimanevano solo le canzoni kombai, che risuonavano in tutta la foresta. Ma poteva anche succedere di doversi alzare per andare a fare una certa cosa nella macchia e lì cominciava un incubo terrificante – il pagliaccio nudo sotto la pioggia, una torcia elettrica legata
alla fronte, la pelle tutta un graffio, con un rotolo di carta igienica zuppa in mano, a saltellare in punta di piedi fra ragni velenosi, e potenzialmente letali. Appena spegnevi la luce per proteggere la tua intimità dagli insetti, centinaia di lucciole ti calavano sulla testa come fotoelettriche, illuminandoti a beneficio dell’intero regno animale: ehi ragazzi, guardate qua, un cagone umano per cena!” Ma alla fine, le paranoie sono cadute, e Osborne si troverà nudo, coperto di farfalle e di grasso suino, ma felice.