Frozen river – fiume di ghiaccio
“Frozen River – Fiume di ghiaccio”, film opera prima della quarantenne Courtney Hunt, che al Sundance Festival ha ottenuto il Premio della Giuria nel 2008, riesce a trasformare il caso del traffico illecito al confine tra lo stato di New York e il Canada in un racconto tutto al femminile.
Il film è ambientato al confine tra lo stato di New York e il Québec, poco prima di Natale. Il marito di Ray è fuggito portandosi via i dollari che la donna ha faticosamente risparmiato per acquistare una nuova casa prefabbricata. Un giorno, la donna ritrova casualmente la macchina del marito e scopre che se ne sta impadronendo Lila, giovane donna della comunità Mohawk che vive sulle rive del fiume San Lorenzo. Lila ne ha bisogno, perché con la macchina può trasportare clandestini negli Stati Uniti. Attività pericolosa, che d’inverno si svolge sul fiume ghiacciato, ma che permetterebbe ad entrambi di risolvere i loro problemi: Ray potrebbe versare la caparra per la nuova casa, come ha promesso ai due figli ed uscire dallo stato di miseria, pagare il megaschermo digitale a rischio di sequestro e Lila riavere il figlioletto che la comunità gli ha sottratto, perché la sua vita precaria non gli permette di mantenerlo. Ray e Lila si affrontano e si scontrano, non si piacciono, si derubano, stanno sospettosamente vicine, ma non si parlano. Ma durante un viaggio notturno, dopo aver abbandonato per errore nella neve, il neonato di una coppia di clandestini, tornano indietro a cercarlo, e tra le braccia di Lila, riprende calore e vita. E nel dolore di una madre che non conoscono, capiscono che forse hanno molto in comune…
Il film parla di madri e della difficoltà di esserlo quando la vita è troppo dura e si è troppo sole, quando i mariti scappano e i figli crescono lontani o ti contestano. Nei primi minuti del film, la presentazione di Ray: una panoramica dal basso verso l’alto, la mostra avvolta in una dozzinale vestaglia, non vecchia ma con il volto scavato dalle rughe, e durante tutto il film, l’attrice Melissa Reo, non sbaglia un gesto, un’occhiata, un’espressione (vincitrice di una serie di premi).
E sa rendere il suo personaggio così simile agli esterni in cui è ambientato il film: tra il ghiaccio e la neve, perché anche lei si è indurita per sopportare i colpi del destino. Lila ha una forte miopia che le consente di sfocare i volti della gente che nasconde nel bagagliaio e di rendere le sue imprese un po’ nebulose, e così le due donne scavalcano il confine che le separa dall’illegalità solo per un normalissimo sogno: una casa decente o riavere il proprio figlio. E poi il ghiaccio, la neve e il freddo che gela passioni e sentimenti, che indurisce i cuori e li rende muri. Benché da madri capiscano l’una i drammi dell’altra, sono sole e devono difendersi da sole, fino a quando nasce e si sviluppa il rapporto tra di loro, pieno di silenzi, ma anche pieno di comprensioni che non diventano mai pietà.
E’ il confine la metafora del racconto, la condizione di instabilità tra due ordini, e tutti ci vivono dentro: le due donne, i figli di Ray, i clandestini, un confine che spesso è ambiguo, quale quello tra colpa e innocenza, giustizia e verità, bontà e dovere. Durante questi “brevi viaggi” tutto succede: trasportando clandestini muti, le due donne iniziano a parlarsi, prima con i loro gesti, con sentimenti appena accennati, poi con scarne parole ed alla fine Ray compiendo un sacrificio a vantaggio di Lila, dimostra come entrambe abbiano vita e calore da donare agli altri.