Cheyenne, trent’anni
Il regista Michele Trentini legge casualmente in un bar, su un quotidiano locale in provincia di Trento, la storia di una ragazza nata in Germania e giunta da poco nella valle dei nonni paterni, la Val di Rabbi.
Una giovane donna che pascola pecore da paesaggio grazie ad una convenzione con il Comune? Una pastora che incontra i turisti per mostrare alcuni aspetti del suo mestiere? Si reca in Val di Rabbi per conoscerla, Cheyenne sta chiamando le pecore alla sua maniera “Ohp Ohp Ohp Ohp!”. Spiega le sue intenzioni di fare un documentario, la ragazza si riserva qualche giorno per riflettere e poi manda un sms: “Oggi sto facendo recinti”, è il suo modo per dire di sì.
Maria Cheyenne Daprà è nata in Baviera, dopo avere frequentato la scuola steineriana di Wangen e una scuola per pastori in Germania, ha lavorato come transumante nella Foresta Nera e in Svizzera. Dal 2001 vive in Val di Rabbi dove, grazie ad una convenzione con il Comune, pascola il suo gregge per la cura e il mantenimento del paesaggio; si tratta della prima iniziativa di questo tipo in Italia. Il suo tempo è scandito dalla costruzione di recinti, la cura delle malattie delle pecore, la transumanza nella valle, la solitudine del pascolo e qualche incontro casuale con i turisti. Nel documentario, “Cheyenne, trent’anni” (2008), le immagini delle attività legate al pascolo sono intervallate da brevi racconti, sguardi, sorrisi e silenzi di Cheyenne, che narra di libertà, di scelte, di solitudini e difficoltà, di una natura amica e severa, che riempie lo sguardo e la vita, ma richiede soprattutto un rispetto incontrastato.
Oltre al lavoro quotidiano, concreto, fisico, Michele si concentra sul mondo interiore di Cheyenne, passato e presente sono messi a fuoco con inquadrature strette, primissimi piani densi di sguardi, parole e silenzi. Raccontarsi è mettersi a nudo e in discussione; il regista filma con profondo rispetto dei tempi del discorso e del ritmo delle azioni, con piani sequenza duri, che costringono a non avere fretta, se si vuole ascoltare. Cheyenne svela con estrema sincerità la consapevole rinuncia a qualcosa che farà sempre parte di lei e la sua voglia di viaggiare; l’istinto di “prendere il gregge, prendere un mulo o due muli” e partire per la transumanza. Ora ha deciso di esistere e resistere in montagna, con gli animali e la terra, con la pioggia e il vento, con il sole e la neve, l’erba e i torrenti, e soprattutto con la solitudine. Il suo lavoro fa bene alle pecore, ai prati e alle piante, al paesaggio e all’ambiente, alla diversità della specie e soprattutto fa bene a tutti.
La Val di Rabbi ha saputo conservare nel tempo le sue caratteristiche agrosilvopastorali, paesaggistiche e culturali, anche se l’allevamento ha subito una flessione: nel 1996 esistevano 114 allevamenti con 900 capi bovini, nel 2003 gli allevamenti erano scesi a 50 e il numero di capi a 570. Anche la diminuzione delle attività agricole ha interessato questa valle. I campi una volta erano coltivati, ora sono lasciati incolti e vengono inghiottiti dal bosco con arbusti e piante. L’erba morta impedisce il rinnovo del manto e il terreno diventa più molle, facilmente soggetto all’erosione dell’acqua, possibile causa di frane.
Ed è qui che interviene Cheyenne con le sue pecore da paesaggio, razze che hanno mantenuto la loro rusticità, abili a vivere su pascoli poveri dal punto di vista nutritivo, e che vengono utilizzate come pecore pulitrici o ecologiche. Sono tre razze: la Heidschnuche, molto adatta alla cura del territorio, la Walliser Schwarznase, che essendo più robusta aumenta il consolidamento del terreno, e la Frisona, di grande taglia, che contribuisce alla cura del territorio. Le fasi del pascolo portano molti benefici, fra tutti anche quello di dare risalto all’immagine della Val di Rabbi, una valle verde con pascoli curati: un bene collettivo per i residenti ed un richiamo per i turisti. Il film ha ricevuto il primo Premio nei Festival di Valsusa, Malescorto, Marcarolo e a Chiusa di Peio, oltre che Menzioni Speciali a Trento, Roma e Rovigno.